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Fugatti, fa il ''portinaio'' e come un bimbo gioca con l’apriporta: apri e chiudi, richiudi e riapri. Tanto di mezzo ci vanno sempre i cittadini

Se sente anche da lontano l’odore di chi s’appresta a prenderlo in castagna, lui da un colpetto alla porta girevole e cambia linea. La pulsantiera del condominio Provincia è a portata di dito. Schiaccia il “chiuso” e la mette via con la solita scusa: “Orco, volevo chiudere anche io, ma ho sbagliato tasto”. Sbagliare è lecito, perseverare non è diabolico ma semplicemente poco furbo. Ciononostante il governatore della portineria di piazza Dante persevera
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Di Carmine Ragozzino - 03 novembre 2020

Giornalista, ha lavorato per Alto Adige, Gazzettino e Trentino

In che mani siamo?”. Sbagliato. Come si fa a dire “In che mani siamo” – senza l’interrogativo e con risposta incorporata - a chi frequentemente, come si suol dire, ''opera con i piedi''? In Provincia, nella giunta provinciale fugattiana e nel consiglio provinciale kaswalderiano il “lavoro con i piedi” è all’ordine del giorno. Fugatti, sua presidenza, ha da subito scambiato la Provincia per una portineria. Non vi si è insediato per concorso ma con il concorso di elettori che probabilmente oggi sono un po’ pentiti. Fugatti, fa il ''portinaio'' e pare che goda come un bambino a giocare con l’apriporta. Apri e chiudi. Richiudi e riapri. Apri quando è ora di chiudere. E viceversa.

 

Non è dato sapere se nel dirigere le riunioni della giunta provinciale Fugatti sia dotato di campanello così come capita nel Governo nazionale secondo una tradizione che Renzi, ricevendo il battacchio da Letta, ha mutato in barzelletta. Viene da pensare che Fugatti non scampanelli. Ci si immagina che pigi l’apriporta solo in maniera compulsiva per “vedere l’effetto che fa”. E in effetti il giochetto infantile di sua presidenza fa effetto. Incide in negativo su un Trentino già provato di suo dalla quotidiana incognita virale.

 

Un giorno Fugatti sbarra le porte al commercio della domenica e reagisce da bullo alle legittime minacce di ricorso. La faccia da duro però non gli si confà e il coraggio gli difetta. Passa poco che pigia di nuovo il tasto del portinaio: stavolta per fare marcia indietro prima che il tribunale gli chieda i danni. “Scusate – vorrebbe dire – io in realtà volevo aprire ma ho sbagliato bottone”. Sbaglia che ti sbaglia, Fugatti scala alla Messner ogni vetta. Ma sono vette della contraddizione. Con bar e ristoranti gli piace fare il primo della classe. Ma solo quando la classe è ormai vuota di clienti e stremata dai conti.

 

Nel mentre in Italia c’è l’obbligo sanitario di non stappare e non servire all’ora di cena, Fugatti butta l’orologio e ci manca solo che dica “aggiungi un posto a tavola” dell’autonomismo masochista. Sa che questa sua mossa furbetta lascia perplessi più di tutti coloro che della bontà del governatore-portinaio dovrebbero trarre vantaggio. Sa anche che il provvedimento è un boomerang, una beffa. Quando baristi e ristoratori batteranno cassa dallo Stato per raggranellare almeno un minino di “ristoro” economico si sentiranno rispondere “chiedete al portinaio”. Ma il portinaio “ha naso”. Se sente anche da lontano l’odore di chi s’appresta a prenderlo in castagna, lui da un colpetto alla porta girevole e cambia linea. La pulsantiera del condominio Provincia è a portata di dito. Schiaccia il “chiuso” e la mette via con la solita scusa: “Orco, volevo chiudere anche io, ma ho sbagliato tasto”. Sbagliare è lecito, perseverare non è diabolico ma semplicemente poco furbo. Ciononostante il governatore della portineria di piazza Dante persevera.

 

Accade quando Fugatti prova maldestramente “a fare scuola” sbuffando di nascosto perché il suo giovane assessore alla materia è “assente” dal primo giorno di mandato, ops di scuola. C’è un bambino positivo al Covid e la classe deve andare in quarantena? Beh, si risolve con il pallottoliere: basta fissare a due positivi il limite per intervenire. È la matematica “fai da te” di un amministratore che essendo commercialista dovrebbe stare all’occhio sui conti, specie se i conti corrispondono a salute, inquietudini e paure delle famiglie. C’è da scommettere che il portinaio abbia pronta l’ennesima retromarcia: “Io volevo venire incontro ai genitori, ma se non va bene così cambiamo”. Fa e disfa Fugatti. È una disfatta la sua squadra.

 

C’è quello che scimmiotta Jovanotti e colloca l’ombelico del mondo a Pinzolo. Che sarà mai una fila ininterrotta di sciatori che si alitano a vicenda la nuvoletta di quando fa freddo? Venghino sciatori venghino che il virus ha paura delle funivie. Si è visto nell’inverno scorso che paura aveva il Covid. Speriamo non lo si sfidi di nuovo nel post semi lock-down. Non c’è da fidarsi. Così come non ci si può fidare quando Fugatti and friends alternano un decisionismo fanfarone alla paralisi – cioè più o meno sempre. Così come non ci si può fidare quando Fugatti lascia i Comuni fuori dalla porta del condominio Provincia ma alla prima avvisaglia di rogna butterà la palla nella tribuna dei sindaci. D’altra “parte governare con i piedi” comporta l’obbligo di dare calci al pallone. Fugatti a modo suo si impegna. Peccato che nessuno gli abbia ancora spiegato che le partite non si vincono né con i solisti, (per altro lui è meno della metà di un polpaccio di Lukaku) né tantomeno diventando campioni inimitabili di autogol.

 

È messo male Fugatti. Nulla sarebbe se l’improvvidazione al potere, (mix micidiale tra improvvisazione e improvvido), non rischiasse di cacciare il Trentino dove davvero non merita. È messo male Fugatti ma siamo messi peggio noi se guardiamo a come stanno diventando regressive le sorti progressive di cui per decenni ci hanno convinto cantando di qualità e di serietà di una terra e del suo popolo. Perfino nelle quisquilie sta naufragando la proverbiale efficienza trentina. Il consiglio provinciale in questi giorni non può trovarsi a fare il suo mestiere, (che la comunità stipendia) in streaming così come fanno ormai senza problemi anche i bambini. Kaswalder che fa il presidente dell’aula non si è preoccupato di attrezzare all’emergenza telematica l’istituzione che guida.

 

Contestato con sacrosanto diritto, Kaswalder “cade dal pero” e spiega che per noleggiare il sistema di trasmissione ci volevano sette giorni. Peccato che il Covid, con il rischio “normale” di non poter fare riunioni dal vivo, ci sia da sette mesi. E più. Se fosse dunque di dare “i sette giorni” a Kaswalder? Purtroppo non si può. Ma si dovrebbe. Ci si accontenterebbe, senza infierire, anche di un ruolo al piano terra di Palazzo Trentini. Che so, l’usciere. Chissà, potrebbe fare carriera politica ulteriore. Basta che anche lui, Kaswalder, impari ad aprire e chiudere le porte. Con i piedi però. Se no non vale. A quel punto una pallonata in tribuna potrebbe tirarla pure lui tanto colpe e responsabilità e soprattutto conseguenze delle loro azioni finiscono sempre per ricadere su qualcun altro.

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